Stellina Cirincione

 

Nata a Legnago da madre veneta e padre siciliano, trascorre l’infanzia ad Arezzo e l’adolescenza a Ferrara, per poi abitare stabilmente a Legnago dove ha insegnato lettere nella scuola media. Formazione umanistica dunque, anche se il suo interesse è rimasto costantemente rivolto all’espressione artistica che ha coltivato da autodidatta. Le sue opere vanno dai dipinti su tela, agli acquerelli, alla grafica, alle sculture in terracotta. Con gli amici dell’Associazione “ Magicargilla”, che opera a Legnago presso il Centro Ambientale Archeologico di Via Fermi, ha contribuito alla realizzazione di formelle in terracotta policroma per l’arredo urbano della città. Suo è il bassorilievo della “ Madonna dell’Umiltà “ posto nella Piazzetta dei Padri Domenicani e la targa in marmo e bronzo della Biblioteca Comunale “G.Bellinato “, entrambi a Legnago. Le opere esposte nella mostra di Rovigo sono tutte recenti e riflettono il vissuto dell’artista, come si evince anche dal titolo “La mia libera espressione“. Morbide e sensuali, solitarie e intriganti, le creature pittoriche e scultoree di Stellina Cirincione catturano lo spettatore coinvolgendolo nella loro storia personale. Sono soprattutto figure femminili nate da elementi autobiografici, con echi del primitivismo espressionista di Marino Marini, che rimandano all’eterna commedia umana. Fare arte è per Stellina innanzitutto vedere il mondo con occhi diversi : “…un buon quadro, come una buona recita, è per me l’arte di cogliere ed interpretare le dissonanze tra il volto e il corpo che parlano due linguaggi paralleli. La tela è una scena ottimale, con le quinte, il fondale, le luci, le ombre…”. Esplorare l’umanità dipingendo è un’investigazione sottile, deve scorrere lungo la superficie apparente delle cose e trovarvi i passaggi inattesi verso l’interno:”…cerco di avere la vista più acuta degli altri, per poi tradurre ciò che vedo in una forma che parli, che metta in luce, che emozioni. Alle volte, ciò che non trovo nella realtà lo invento nei miei lavori, e sono armonie e sensazioni del tutto simili a quelle che sanno darmi l’ascolto di un buon brano musicale o la visione di un’intensa interpretazione teatrale…” E’ un mondo parallelo, quello di Stellina, dove trovano materializzazione le sue suggestioni inconsce, un’archeologia personale popolata da archetipi ancestrali come il mare, il fuoco, il sole, la luna.

Da questo fertile humus, in cui si combinano mitologia ed espressività onirica, traggono origine le sue opere. Vi sussistono una certa classicità e tracce di un artigianato di antica memoria, soprattutto nella perizia manuale con cui formula le sue sculture:”…affondo le mani nella terra bagnata per plasmarla e far emergere un’immagine mentale, poi l’affido all’aria perché l’asciughi e al fuoco perché la purifichi e la forgi definitivamente…”. Una magica alchimia in cui i quattro elementi della natura interagiscono. Dalla creta primordiale emergono volti, corpi abbozzati e allusivi. Costruzioni dal forte impatto emotivo che pretendono in chi le guarda una partecipazione attiva per ricreare le parti mancanti. Sono immagini dove gioca con l’equilibrio calcolato dei pieni e dei vuoti. Volumi dinamici diretti verso l’esterno o racchiusi a cerchio. E’ anche una riflessione sul tempo la sua, perché, se nessuno nasce dal nulla, la conoscenza del passato, dai grandi miti alle teorie filosofiche, crea il substrato da cui nascono le sue suggestioni poetiche. Il presente poi è senso di attesa, e da qui emergono le opere che sottolineano la fragilità dell’uomo d’oggi. Il futuro è invece rappresentato nella plasticità compositiva di alcune sculture, come in “ Forze convergenti”, o ne” Il peso del mondo “, dove personaggi nomadi vanno incontro ad un destino completamente ignoto, alla ricerca di altri mondi, altre percezioni. L’attraversamento del tempo storico è dunque per Stellina recupero delle antiche radici proiettandole nel contemporaneo, anticipando il futuro.

Cristina Lorenzetto

 

 

STELLINA CIRINCIONE

 

 

Conosco e apprezzo da molti anni le opere pittoriche di Stellina Cirincione, è stata però una sorpresa per me, qualche tempo fa, scoprire la sua evoluzione verso la scultura.

Vedere, osservare, toccare, sfiorare le sue opere in ceramica mi ha trasmesso la sensazione che l’artista legnaghese abbia raggiunto per questa via la piena maturità artistica. Se, infatti, la sua produzione pittorica si è andata evolvendo lungo linee di ricerca che approfondivano le dinamiche - già presenti fin dai primi dipinti – tra figure femminili, forme geometriche, soprattutto circolari, e cromatismi, le sculture hanno in sé contemporaneamente una vigorosa forza primordiale e una raffinata meditazione simbolica. Come la materia che la compone, l’umile argilla, che nella manipolazione trova la forma che poi il fuoco bloccherà ad aeternum.

Nelle terrecotte patinate in azzurro – quell’azzurro già sempre presente come un filo conduttore tonale nei mille colori dei suoi quadri – i volti metafisicamente o divengono maschere o scompaiono per lasciare spazio alla pura forma tondeggiante del capo, mentre i corpi e gli arti si stringono in abbracci rivolti di volta in volta a se stessi, ad altri o ad oggetti che rappresentano insieme la solitaria fatica di vivere e la necessità fatale e obbligata della condivisione. In una parola, la condizione umana. Quella totalità dell’esperienza degli esseri umani che filosofi come Martin Heidegger, Edmund Husserl o Jean-Paul Sartre, scrittori come André Malraux o Hannah Arendt, registi come Masaki Kobayashi, Michelangelo Antonioni o Ingman Bergman hanno a lungo indagato nelle loro opere.

Nei lavori di Stellina Cirincione trovo che la riflessione sulla condizione umana si riassume insieme nella concretezza materica della terra che si è tras/formata, ossia fatta forma, e nella rarefazione eterea dei simboli capaci di parlare con immediatezza a ognuno di noi.

 

Giancarlo Beltrame